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Crisi del credito: Borse, Governi e Banche centrali
 
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Questa crisi non la paghino le imprese e i lavoratori

di Sergio Marchionne *

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L'amministratore delegato Fiat, Sergio Marchionne

Pubblichiamo una sintesi dell'intervento dell'amministratore delegato Fiat tenuto al Consiglio direttivo di Confindustria mercoledì scorso

Gli eventi delle ultime settimane e soprattutto il fermento del mondo politico internazionale di questi giorni rendono difficile il compito di tracciare un quadro significativo su quanto è successo finora e su quello che ci riserva il futuro. Non c'è dubbio che la crisi finanziaria è nata americana ma oggi è globale. Questa è l'inevitabile conseguenza di un sistema che è totalmente aperto e di un mondo che non ha più confini geografici o economici. Per descrivere questa situazione, qualche mese fa il settimanale The Economist ha usato un'espressione molto efficace: ha parlato di «fragilità della perfezione».
Più forte è la connessione all'interno del sistema, maggiori saranno gli effetti della distruzione in una parte di esso. Nella finanza, il modello "creare e distribuire" del credito bancario ha forse dissipato i rischi, ma ha anche lasciato che un problema nel mercato immobiliare americano danneggiasse le banche e gli investitori di tutto il mondo. Per questo motivo chi ha il compito di gestire oggi la crisi si trova di fronte a un impegno molto più grande che nel passato.
La realtà è che ci troviamo di fronte a una bolla finanziaria, ma i veri effetti negativi si vedranno sull'economia reale. E non li abbiamo ancora visti. Gli interventi finora hanno curato i sintomi della crisi, ma nessuno ha ancora sanato le cause.
Personalmente ritengo che se i piani dei Governi europei si possono considerare una buona notizia per il sistema finanziario, non possiamo dire altrettanto per l'economia reale.
I rischi che abbiamo davanti sono alti. Il primo è quello di aver creato un'arma a doppio taglio. Da una parte garantisce alle banche di sopravvivere, dall'altra avrà un impatto enorme sul debito pubblico e sul Pil di tutti gli Stati europei. L'altro rischio è che gli obiettivi che hanno mosso queste iniziative - cioè garantire allo stesso tempo liquidità al sistema bancario e finanziamenti alle imprese e ai risparmiatori - vengano centrati solo in parte.
È possibile, ed è anche molto probabile, che le banche, per assicurarsi quei guadagni che hanno visto così tanto in pericolo, stringano i cordoni della borsa. In questo gioco di difesa, le prime a venire tagliate potrebbero essere quelle linee di credito che non garantiscono un adeguato ritorno economico. È quindi molto probabile che, in un prossimo futuro, le banche saranno ancora più caute e selettive, riducendo di fatto il credito alle imprese, specialmente quelle piccole e medie. Tutto questo potrà alimentare una spirale perversa.
Più il sistema finanziario si richiude su se stesso, più i consumi continueranno a deprimersi. Il rischio di una crescita negativa diffusa non è affatto lontano. È ormai ufficiale, o quasi, che i Paesi della zona euro - e in particolare le quattro maggiori economie di Francia, Germania, Italia e Spagna - subiranno probabilmente la loro prima recessione.
Quello che deve essere chiaro a tutti, Governi in testa, è che il conto della crisi non può essere pagato dalle imprese e non può essere pagato dai consumatori.
È indispensabile intervenire nella parte fondamentale e far ripartire il ciclo economico. Ed è quanto mai urgente farlo al più presto. Abbiamo speso due trilioni di euro, in un giorno, per creare una rete di sicurezza intorno al sistema finanziario europeo. Circa duemila miliardi di euro sono una cifra quasi impossibile da comprendere nella sua grandezza fisica. Probabilmente non c'erano alternative e questa era la migliore scelta possibile.
Ma una cosa è certa. Una cifra simile non si è mai vista, in tutta la nostra storia, per un intervento diretto a stimolare il sistema economico.
Io non sono tra quelli che vogliono mettere la finanza contro l'industria. E non voglio unirmi al coro di chi invoca un ritorno all'economia reale. Lasciatemi dire - da uomo d'industria - che si tratta di pura retorica. L'economia reale ha bisogno di una finanza sana e competitiva. Non esiste nessuna industria che possa funzionare senza un solido sistema finanziario alle spalle. Ma non posso accettare che siano le imprese e i loro lavoratori a pagare sulla propria pelle la più grande follia finanziaria di tutti i tempi.
Se non s'interviene subito per contrastare questa situazione, gli effetti potranno essere pesanti per l'economia, per l'occupazione, per la qualità della vita di centinaia di milioni di persone.
La situazione in cui ci trovavamo già prima della crisi finanziaria non era delle più felici. L'economia europea stentava e, in questo contesto, l'Italia rimaneva il fanalino di coda. Per questo ora diventa cruciale non aggiungere ostacoli a ostacoli.
La prima condizione essenziale è che le banche continuino a garantire normali condizioni d'accesso al credito alle imprese. Penso che sia altrettanto importante agire in parallelo sull'altro fronte, quello dei lavoratori e delle famiglie.
  CONTINUA ...»

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